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Ma perché il fundraising al Sud è così importante?

da | 9 Mar 2017 | Fundraising: vorrei e non vorrei | 0 commenti

Ma perché al Sud, perché proprio al Sud? C’è meno ricchezza. Tutti dicono che non c’è una cultura della donazione e della filantropia (infatti tutte le ricerche mostrano un Sud sotto la media rispetto alle forme tradizionali di fundraising). La situazione delle infrastrutture e della logistica è sfavorevole. C’è un pervasivo clima di sfiducia e la situazione sociale è grave, anche a causa di una presenza molto ingombrante della malavita e della corruzione politica.

Insomma, esistono tante buone ragioni per dire: “Mi piacerebbe ma non si può fare”. Oppure: “Non conviene farlo: troppo rischioso!”.

Quindi: perché al Sud? Proprio per tutte queste ragioni.

Sì, è esattamente per queste ragioni che abbiamo deciso di dare vita ad una Scuola di Fundraising del Sud. L’idea l’abbiamo covata da un po’ di tempo insieme a vecchi e nuovi amici, che lavorano e conoscono questo territorio. Per portare il fundraising al Sud, per il Sud, con il Sud.

Al Sud. Vuol dire portare l’offerta dei servizi in periferia evitando così quelle barriere incredibili che ancora esistono nello spostarsi dal Sud al Centro-Nord. Quando ai nostri corsi arrivano persone dalla Calabria, dalla Basilicata, dalla Sicilia ogni volta ascolto storie di vera e propria sofferenza: giorni di viaggio in più, difficoltà di spostamento maggiori soprattutto dai piccoli centri e, inevitabilmente, maggiori costi. Se un corso costa 100 euro per un abitante del Centro e del Nord, per quelli del Sud ne costa 130 o forse anche 150. Quel costo in più si abbatte su organizzazioni e persone che spesso vivono di un’economia più ristretta.

Per il Sud. Perché è lì che i problemi sociali, culturali, economici, di sviluppo hanno un peso maggiore. È lì che viene messo in discussione gravemente il nostro sistema di welfare. È lì che il nostro patrimonio culturale e artistico – che è di ingente rilevanza – è in abbandono. È lì che si gioca la vera sfida dello sviluppo del nostro Paese. È lì che i soggetti istituzionali si trascinano in una lunga e noiosa questione meridionale, senza uscirne fuori in alcun modo, mentre la società civile cerca di riscattarsi e darsi da fare nonostante i mille ostacoli. Se il fundraising non funziona al Sud, allora è il caso di domandarsi se sia veramente così importante come tutti diciamo. È lì che deve dare prova di fare la differenza per la sostenibilità del welfare.

Con il Sud. Perché nonostante tutto nel Sud vi à una leadership di organizzazioni sociali ma spesso anche di servizi pubblici che, con grande coraggio e spirito positivo, continua a costruire coesione sociale, cultura, difesa dei diritti, tutela dell’ambiente. Come il Sindaco di Messina o quello di Pantelleria, come il dirigente dei servizi bibliotecari di Vibo Valentia, come i tanti dirigenti di cooperative sociali e associazioni che presidiano da soli le aree e le persone abbandonate dalle istituzioni e dalle imprese. Perché nonostante tutto ci sono giovani e meno giovani professionisti, che si sono formati da noi o in altre scuole di fundraising e che poi vengono lasciati a loro stessi, in una situazione difficile e con colleghi che si guardano bene dall’impegnarsi nel Mezzogiorno, dove tutto sconsiglia di farlo. Sono persone capaci, piene di entusiasmo che fanno fundraising e lo fanno anche bene.

E poi perché nel Sud, checché se ne dica, c’è ancora un grande senso della comunità e della solidarietà, le cui ali vengono tarpate da una rappresentazione stereotipa e retriva della cultura meridionale. Se fosse vero quello che si dice, non esisterebbero realtà come “L’Altra Napoli”, che solo con il fundraising ha dato vita al riscatto del quartiere Sanità, creando nuove opportunità lavorative per i giovani e restituendo luoghi di interesse culturale alla fruizione pubblica. Se fosse vero quello che si dice, non esisterebbero realtà come la Fondazione Foqus (Quartieri Spagnoli), che chiamerei una casa del welfare in un quartiere dove il welfare pubblico è quasi del tutto sparito, realizzata anche grazie alla responsabilità sociale di impresa del gruppo Pontecorvo (Ferrarelle). Se fosse vero quello che si dice, non esisterebbero realtà come la biblioteca per bambini “Le Balate” di Palermo, unico presidio di cultura e socialità in un quartiere diseredato. Se fosse vero quello che si dice, non avremmo assistito al riscatto di un’isola meravigliosa come Procida, che ha ripreso a fiorire in breve tempo con una giovane e dinamica amministrazione sulla spinta autofinanziata di un’associazione sociale. Questi sono solo alcuni casi che ho conosciuto personalmente.

È con loro, quindi, che è possibile fare questa impresa comune: portare servizi di fundraising di qualità e ad un prezzo accessibile, per far arrivare il fundraising, in modo professionale e moderno, alle radici dell’erba del nostro Mezzogiorno.

Cose ‘e pazz! , quindi, come si dice dalle mie parti. Certamente. Se si vuole essere socialmente responsabili, bisogna avere un pizzico di sana follia. È quello che abbiamo deciso di fare noi della Scuola di Roma Fund-Raising.it insieme ad altri coraggiosi fundraiser: Gianpiero Losapio, Valeria Romanelli, Antonio del Prete, Antonio Francesco Oliverio, Eugenio Benedetto Martello e Maurizio Imparato. Insieme presenteremo pubblicamente la Scuola di Fundraising del Sud a Napoli venerdì 10 marzo.

Stiamo costruendo una grande casa dove c’è molto spazio per tutti. Vuoi venire anche tu?

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